LA FERRIERA DI SERVOLA ENTRA NEL GRUPPO ARVEDI

In un momento in cui i vari “tavoli” sulle cosiddette ‘crisi industriali complesse’ nel nostro paese, si concretizzano con provvedimenti per limitare il danno derivante dalle chiusure, va sottolineato, invece, che qui da noi, a Trieste, con un risultato per certi versi unico, si salva un’industria con la relativa occupazione, si avvia una diversificazione produttiva che potrebbe portare ulteriori posti di lavoro, si investono 66 milioni e mezzo per avviare le misure ambientali e per consentire allo stabilimento di lavorare senza più inquinare con il conseguente e progressivo superamento dei disagi per la popolazione.

Vediamo quante previsioni abbiamo smentito.

  • Qualcuno diceva che dopo dieci anni di chiacchiere e promesse anche la nostra Amministrazione avrebbe continuato su quella strada…
    La realtà è che abbiamo lavorato per la soluzione del problema attraverso un dialogo continuo con le parti sociali e gli ambientalisti e contemporaneamente abbiamo emesso delle Ordinanze per il contenimento delle emissioni. Insieme con la Presidente della Regione, Debora Serracchiani, abbiamo impegnato il Governo (non era mai successo prima) arrivando così all’Accordo di Programma del 30 gennaio 2014.
  • Quando si è manifestata l’ipotesi Arvedi si è sostenuto che non fosse una manifestazione seria e concreta e che eravamo condannati a un’agonia occupazionale e ambientale fino al disastro finale.
    I fatti oggi parlano da soli e anzi evidenziano, dopo molto tempo, un importante investimento che arriva nella nostra città.
  • Si è detto che l’occupazione sarebbe stata inevitabilmente dimezzata.
    La realtà è che nell’azienda rientra la quasi totalità dei dipendenti e che le previsioni di medio periodo vedono, addirittura, un significativo incremento.
  • Dal punto di vista industriale qualcuno ha detto che ci accanivamo a mantenere semplicemente l’esistente, ovvero un’attività fortemente impattante, senza che cambiasse nulla.
    Il piano industriale di Arvedi include lo sviluppo della logistica, l’avvio di un laminatoio, cioè un’attività industriale “a freddo” e prevede una riduzione,  magari il superamento, dell’attività della cokeria, quella maggiormente impattante. Io la chiamerei riconversione nella continuità del lavoro. Altre riconversioni, più radicali, oltre a non aver visto nessuna ipotesi concreta cioè, con nome e cognome, avrebbero comportato una cessazione dell’attività, un lungo periodo di ammortizzatori sociali e magari un’occupazione a regime molto inferiore.

Del risultato complessivo la nostra città può essere soddisfatta. E’ un segnale importante per una ripresa più generale e l’abbiamo portato a casa con un lavoro di squadra tra Istituzioni e forze sociali, mantenendo gli impegni che ci eravamo presi.

C’è ancora una previsione negativa che proviene da alcuni, perché giustamente esasperati da anni di degrado e perciò in buona fede e da qualcun altro, magari perché, con minor buona fede, teme che la soluzione dei problemi gli sottragga terreno alla polemica e agli attacchi quotidiani:

  • “Non cambierà nulla, lo stabilimento continuerà a inquinare come prima.”
    I patti sono chiari e saranno rispettati. Il lavoro delle Amministrazioni per la predisposizione della nuova AIA (Autorizzazione Integrata Ambientale) è rigoroso, l’azienda investirà quanto necessario, e quindi completeremo l’elenco delle previsioni negative smentite dall’impegno serio per ottenere un risultato che sembrava impossibile: quello di poter unire, invece che contrapporre, il valore del lavoro e il valore della salute.

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