Cos’è il Patto di Sindacato?
Il Patto di Sindacato è uno strumento con cui i soci di una società di capitale si impegnano reciprocamente e congiuntamente, per un determinato periodo, a concentrare le azioni necessarie per il controllo di una società in uno strumento unico e comune, detto anche Sindacato di Blocco, che come tale è in grado di esercitare una funzione di indirizzo e di controllo sulle decisioni dell’Assemblea dei soci e perciò, ad esempio, di nominare la maggioranza degli amministratori. È quindi un accordo parasociale attraverso il quale due o più azionisti si impegnano a comportarsi in modo coordinato nella gestione della partecipata, per esempio nell’espressione del voto durante l’assemblea dei soci.
Perché il Patto di Sindacato passa dal 51% al 38,5%? Quali sono le conseguenze?
In premessa va detto che al Patto di Sindacato che conteneva il 50+1 delle azioni di Hera il Comune di Trieste aderiva con 58 milioni di azioni mentre, fino al 31 dicembre 2014, erano libere più dì 13 milioni di azioni (ad oggi ogni azione vale circa 2,25 euro). Nel 2014 il Comune di Trieste non ha venduto nessuna di queste azioni, mentre molti Comuni, fra cui Bologna e Padova, hanno venduto in tutto o in parte le azioni “libere”, per far fronte al bisogno delle entrate in “conto capitale” necessarie per realizzare opere pubbliche. Nella discussone del rinnovo del Patto molti Comuni hanno espresso l’esigenza di poter disporre di più azioni libere da vincolo per le medesime esigenze, mentre qualche altro Comune ha addirittura comunicato la sua uscita dal Patto di Sindacato. Tutto ciò ha reso, di fatto, impossibile il mantenimento nel Sindacato di blocco della maggioranza delle azioni di Hera.
Colgo l’occasione per ricordare che il Comune di Trieste, aveva stabilito che avrebbe confermato 58 milioni di azioni dentro il patto solo se ciò fosse servito a mantenere la maggioranza assoluta in mano pubblica, ma questo ormai non era più possibile.
A questo punto si è optato per proporre un nuovo Patto al 38,5 %, ampiamente in grado di mantenere di per sé il controllo pubblico della società quotata in borsa e perciò con azionariato molto diffuso, introducendo, per di più, la previsione della possibilità del voto maggiorato che consente ai soci storici, quindi ai Comuni, un maggior peso ponderale del voto nelle decisioni strategiche, che di fatto porta ad avere la maggioranza assoluta in Assembla. Tale proposta, appunto, è stata portata al voto di tutti i comuni con apposite delibere.
Qual è stata la posizione del Comune di Trieste?
Abbiamo, quindi, predisposto una delibera per approvare le modifiche statutarie, e per confermare la nostra partecipazione al Patto di Sindacato con il numero di azioni previsto in modo da garantire l’obiettivo che ho illustrato prima.
Alcuni hanno chiesto al Sindaco di Trieste di non far scendere il patto sotto il 51%. E’ possibile?
No. Ciò che è stato richiesto è tecnicamente impossibile nella misura in cui gli altri soci votano per il Patto al 38,5%. Il Comune di Trieste non ha il 51% di tutte le azioni societarie, bensì il 4,8%, anche se lo bloccasse interamente, il Patto scenderebbe comunque sotto il 40%.
Cosa comporta aver approvato la delibera?
Significa che continuiamo a stare nel Patto di Sindacato ed esprimere, in qualità di soci pubblici, la grande maggioranza degli amministratori, oltre a mantenere il controllo delle decisioni fondamentali. A ciò aggiungo che possiamo rinnovare, alla sua scadenza, prevista fra due anni, l’accordo parasociale tra Hera e i Comuni di Trieste, Padova e Udine per la governance di AcegasApsAmga. Un accordo che assicura la sede legale di AcegasApsAmga a Trieste, la presenza dei rappresentanti dei tre soci nel Consiglio di Amministrazione e che, inoltre, assicura la Presidenza della società a un triestino. Se fossimo usciti dal patto con il voto contrario alla delibera, ciò sarebbe stato molto difficile.
Cosa avrebbe significato, invece, bocciarla?
Bocciare la delibera voleva dire rimanere fuori dal Patto di Sindacato, quindi indebolire la governance pubblica di Hera con le prevedibili conseguenze, per le relazioni sopraddette, anche in AcegasApsAmga.
E’ vero che scendendo sotto il 51% si dà il via alla privatizzazione dei servizi pubblici locali?
No. E’ bene chiarire che tutti i servizi pubblici locali, per effetto di leggi europee e norme italiane, sono soggetti a gara alla scadenza di ogni concessione, ciò indipendentemente dalla quota di azionariato posseduta dal pubblico oppure dal privato. Per intenderci, una società posseduta al 90% dal Comune di Trieste va comunque a gara per l’acqua o per il gas e può perdere contro una società, magari francese o tedesca, a capitale interamente privato. L’unica eccezione a questo principio è quella di una così detta municipalizzata, oppure di una società in house, ovvero posseduta al 100% da un Comune e che operi solo per questo. Ma Acegas non si trova in questa situazione da più di 15 anni, oltre a ciò sarebbe tutta da valutare quale sarebbe la convenienza per i cittadini. In ogni caso, per quel che riguarda la possibile re-internalizzazione del servizio idrico intendo produrre e presentare al Consiglio uno studio economico-tecnico approfondito sulla sua fattibilità.
Il Comune di Trieste vuole vendere le azioni? Se sì, quante?
Come si ricorderà, già nel 2014 come Giunta avevamo previsto la possibilità di vendere azioni, non per garantire le coperture, ovvero i soldi che già ci sono, del piano delle opere pubbliche, bensì per garantire gli “spazi finanziari”, cioè la possibilità di pagamento nel rispetto dei limiti del Patto di Stabilità (secondo un meccanismo restrittivo piuttosto complesso da spiegare..). L’Amministrazione aveva previsto tale possibilità ben sapendo, però, che durante l’anno si sarebbero create le condizioni, tramite altri meccanismi (spazi autorizzati da Stato o Regione, altre entrate in conto capitale), che non l’avrebbero portata alla vendita, e in effetti nessuna azione è stata ceduta. Si trattava di 13 milioni di azioni. Inutile che ricordi che chi si opponeva dava per certo che avremmo venduto… Per il 2015 il Comune di Trieste ha previsto un’analoga possibilità per un numero massimo di 8 milioni e mezzo di azioni. L’Amministrazione farà di tutto – io farò di tutto – per venderne un numero molto inferiore e qualora fosse possibile, non vendere alcunché.
Va detto, però, che allo stato attuale questo meccanismo consente ai Rup (responsabili unici dei procedimenti) di proseguire e avviare cantieri avendo la certezza degli spazi finanziari necessari per fare fronte alle scadenze contrattuali di pagamento. Stiamo parlando di opere pubbliche per la sicurezza nelle scuole, per il rifacimento di marciapiedi, per la ripavimentazione delle strade, per la manutenzione delle aree verdi e degli impianti sportivi per l’attività giovanile dunque, cantieri di pubblica utilità e non certo effimere e non necessarie opere.
La fusione è stata conveniente oppure era meglio rimanere in AcegasAps dove avevamo la maggioranza?
Per prima cosa bisogna ricordare che il Comune di Trieste aveva il 50,1% di una holding che controllava il 62% delle azioni di AcegasAps, quindi in realtà deteneva il 31%. Anche in questo caso la maggioranza pubblica si esplicava attraverso un patto parasiociale tra i soci della holding. Se però l’altro socio avesse voluto vendere le sue quote il Comune di Trieste per mantenere la maggioranza assoluta avrebbe dovuto comprarle e non è detto che in quel momento ne avrebbe avuto la disponibilità, altrimenti queste sarebbero finite sul mercato, con la conseguente perdita del controllo. A ciò aggiungiamo il fatto che AcegasAps, nella sua quotazione in borsa, risentiva delle sue limitate dimensioni; inoltre si stavano approssimando diverse scadenze, tra le quali quella della gara per la gestione del gas, dall’esito molto incerto. Infine vi era un importante indebitamento: tutti elementi che indebolivano la società e limitavano la capacità di investimento, creando forti dubbi e preoccupazione tra gli stessi lavoratori.
Qualcuno ricorderà il tentativo, molto discusso, di alienare il ramo gas in una società comune con ItalGas, operazione che sarebbe servita a fare cassa e perciò a ridurre l’indebitamento, ma che di fatto portava fuori da AcgasAps un ramo d’attività importante come il gas e i relativi occupati.
Il 5 giugno del 2012, quindi prima delle anticipazioni e delle voci sulla fusione, la nostra partecipazione in AcegasAps valeva 43 milioni di euro. Oggi per effetto dell’accordo e del concambio le azioni in Hera valgono 163 milioni di euro. Se anche fossimo rimasti in Acegas e questa fosse cresciuta sulla media delle altre multiutility, cosa non scontata per i problemi prima indicati, la partecipazione sarebbe salita al massimo a 75-80 milioni. Ciò significa che il valore detenuto dal Comune di Trieste è cresciuto grazie alla fusione di circa 80 milioni, inoltre a ciò si sommano 4,7 milioni di cash e i maggiori dividenti ottenuti per circa altri 10 milioni che portano, così, il valore totale di questa operazione a oltre 100 milioni di euro a beneficio del nostro Comune. Per quanto riguarda il versante occupazionale, invece, i posti di lavoro non solo non sono diminuiti ma si è registrato anche una leggera crescita. L’operazione, poi, ha portato la sede legale di Hera Trading a Trieste con il beneficio fiscale sul territorio di 40 milioni di euro di Iva; AcegasAps ha mantenuto la sede legale a Trieste e ha pure incorporato la società Amga di Udine.
Cosa sarebbe successo se non fosse partita l’operazione di fusione?
Il Comune di Trieste registrerebbe un valore patrimoniale più basso di 80 milioni di euro, vi sarebbero state delle probabili esternalizzazioni, almeno del ramo gas, con la conseguente riduzione del valore dell’azienda e dei dividendi, oltre al trasferimento in una società esterna, controllata sul piano industriale da ItalGas, degli occupati in quel settore.
I dividendi non sono una mera rendita: sono entrate correnti che servono per erogare servizi alla comunità e quindi averli più alti significa dare più servizi ai cittadini.