Quando ero Sindaco ebbi l’occasione di presentare il Porto di Trieste a Vienna o a Monaco, circostanza fortunata quest’ultima anche per l’incontro con D’Agostino, ma non di essere invitato a farlo in qualche area industriale di altre regioni italiane.
Ricordo questo particolare per offrire uno spunto a quella riflessione, stimolata e ospitata da Il Piccolo, che ha visto proporre visioni e idee per Trieste sottolineando le diverse vocazioni, talvolta anche contrapponendole.
Lo spunto è che qui ogni idea, ogni vocazione, sia logistica, sia turistica, sia nel campo dell’industria innovativa, deve essere declinata con una forte proiezione internazionale.
C’è in questo un filo che lega il grande passato con le prospettive rivolte al futuro: anche oggi Trieste dipende per le dinamiche dello sviluppo da un contesto europeo e globale più che da quello italiano.
Guardiamo ai mercati di riferimento del nostro porto, all’origine e alla destinazione dei suoi corridoi logistici, oppure guardiamo alla provenienza di molti investimenti immobiliari, alla presenza di flussi turistici sempre più internazionali.
Oppure pensiamo ancora all’attenzione verso Trieste di molti paesi dell’area dei Balcani e ricordiamo che Trieste ha ottenuto Esof 2020 grazie all’intuizione di Stefano Fantoni di coinvolgere nella candidatura le comunità scientifiche dell’Europa centro orientale.
La constatazione può apparire ovvia dato che è la geografia che ci rende importanti in una dimensione europea almeno quanto ci colloca periferia all’estremo nordest del Paese. Ma diventa meno ovvia la risposta alla domanda se Trieste, a partire dalle sue Istituzioni, lavori per accrescere le ricadute di questa dote naturale e per cogliere tutte le potenzialità di questa vocazione. Personalmente non credo che oggi ciò accada: poco fa il Governo del Fvg, ben lontano da quell’idea di Regione Europea che caratterizzò gli anni di Illy.
Poco o nulla fa il Comune, lasciando così al solo Zeno D’Agostino la missione di fare “diplomazia” internazionale di Trieste.Per questo una guida della città che ambisca a darle una svolta nel senso di una piena valorizzazione dei suoi asset di competitività dovrebbe colmare questo vuoto. Come farlo?Ad esempio dovrà lavorare per stringere relazioni con città e capitali europee: ricordo alcuni anni fa i rapporti avviati con Vienna, Lubiana, Zagabria, Sarajevo, Graz. Produssero collaborazioni in campo culturale, nel caso di Vienna facilitarono anche relazioni per il porto e soprattutto alle città coinvolte pareva logico e naturale avere rapporti con Trieste.
In secondo luogo, deve porsi come punto di riferimento di un’area transfrontaliera che dalla fascia carsica si estende all’Istria slovena e croata, condividendo progetti e magari anche servizi. Trieste può essere la città di riferimento di quest’area e l’idea di unire le comunità di quest’area in un Gruppo Europeo di Cooperazione Territoriale andava in questa direzione.
E ancora: “accompagnare” come città, e quindi con le istituzioni culturali e scientifiche, l’intensa azione in ambito internazionale del Porto, con l’obiettivo di costruire corridoi per le idee, le esperienze, i progetti comuni, le persone che si aggiungano a quelli delle merci.
In questo ambito un importante investimento andrebbe fatto per caratterizzare di più il nostro sistema di alta formazione verso l’attrazione dei giovani della nuova Europa: qui le future classi dirigenti di quei Paesi potrebbero trovare risposte di alta qualità a distanza sostenibile da casa, in una città caratterizzata dalla storia e dalla presenza multiculturale e quindi più vivibile da molti punti di vista: formazione in lingua inglese, servizi adeguati, un’intensa attività di promozione in quelle aree del nostro sistema universitario e della ricerca.
A costruire questa proiezione complessiva della città certo può dare un grande contributo il patrimonio di relazioni ed esperienze dell’Iniziativa Centroeuropea (Ince), che mi pare ancora insufficientemente conosciuto e utilizzato.Per concludere con un “caso” attuale: tutti sono d’accordo nel considerare Porto Vecchio la grande carta per il futuro di Trieste, poi magari meno d’accordo su come procedere. Si confrontano l’idea di un’indispensabile visione generale e la pratica dello spezzatino, c’è il rischio poi che i trasferimenti in Porto Vecchio di realtà già collocate in città non siano il complemento parziale quanto piuttosto la caratteristica prevalente degli interventi in quell’area. Così si rischia di perdere il potenziale di valore aggiunto, di nuove attività, di posti di lavoro ma del resto questa sarebbe la logica conseguenza di un’operazione tutta interna a una città di 200.000 abitanti in calo demografico. Mettiamo allora il centro del compasso in Porto Vecchio e tracciamo un raggio di qualche centinaio di chilometri: quello è il bacino di alcuni milioni di persone cui riferirsi in modo che il Porto Vecchio, e Trieste in generale, sia la porta sul mare di un pezzo d’Europa.
Così non si creano i “buchi neri” per riempire quei 60 ettari, così si raggiunge la massa critica per investimenti, ricerca, attività produttive, offerta turistica, servizi per il tempo libero.
Bisogna volerlo, e farlo, sconfiggendo l’attrazione perversa e sottile di una decadenza comoda e rassicurante per tanti che qui vivono, spesso coccolata con successo da una politica più attenta al consenso immediato che a costruire una prospettiva. Dipende da tutti noi, e il momento di decidere è questo.