La norma sancisce la sdemanializzazione di larga parte del Porto Vecchio.
Nella misura in cui ciò comporta la presa d’atto della definitiva estinzione della funzione specificatamente portuale di quel sito, la norma prevede perciò modalità di trasferimento di un regime istituito in funzione dell’attività portuale, il punto franco, a siti destinati oggi e in futuro ad esercitare quella funzione.
Poiché non ci sono molte vie di mezzo per un sito comunque urbano tra l’essere destinato a porto o entrare a far parte di un disegno e di una programmazione strategica della città (salvo l’abbandono e il degrado che ha vissuto da molti anni), proprietà e competenze del sito sdemanializzato vengono trasferite al soggetto che per definizione e funzioni è espressione della comunità locale, il Comune.
Ne conseguono due primi punti fermi, dai quali credo ogni seria riflessione non possa prescindere (teniamo infatti presente che noi ci troviamo di fronte non a generiche volontà politiche, non ad auspici cui magari si contrappongono posizioni contrarie, ma di fronte ad una Legge dello Stato) :
- sviluppo del porto di Trieste e area di Porto Vecchio sono ormai due temi decisamente e definitivamente distinti fra di loro. È fuorviante attardarsi su impostazioni diverse che indeboliscono la stessa prospettiva del nostro scalo. Oggi in discussione, e mi riferisco anche all’audizione della Commissione, non è l’istituto del Punto Franco, sulla cui attualità pur vi sono opinioni molto diverse, semmai il suo spostamento da dove è perfettamente inutile a dove può servire, ovvero nelle aree previste per questa finalità dal Piano Regolatore e in altre strategicamente funzionali
- proprio perché Porto Vecchio è destinato a una nuova funzione il legislatore, riconoscendone il valore strategico straordinario, ne decide il passaggio da una proprietà pubblica ad un’altra, la più idonea a governare un processo strategico di integrazione con la città. Nel farlo aggiunge un ulteriore elemento che conferma come questa sia una norma per la città e per il porto: stabilisce che il valore creato da alienazioni in Porto Vecchio viene destinato a nuove infrastrutture portuali.
Il ruolo del Pubblico, e di un Pubblico che risponde direttamente ai suoi cittadini, è oggi quindi un ruolo forte, certo molto più forte nel determinare il futuro di Porto Vecchio come leva di sviluppo della comunità di quanto lo potesse essere alcuni anni fa con la decisione di una lunghissima concessione demaniale ad un soggetto privato.
Fatta questa premessa e ribaditi questi due punti fermi mi pare utile sottolineare alcune questioni, tutte importanti:
1) Comune e Regione concorreranno rapidamente a definire, con il Commissario di Governo, i siti idonei per il trasferimento del Punto Franco: a questo fine saranno certo importanti le indicazioni che potranno darci gli addetti ai lavori. Ma questo è anche il momento in cui se ci sono progetti d’impresa interessati ad avvalersi di questo regime speciale è bene si facciano avanti in modo da contribuire a determinare le scelte migliori per le nuove ubicazioni.
2) Si dà avvio da subito ad un lavoro tecnico-amministrativo che vedrà impegnati Comune, Agenzia del Demanio e Autorità portuale per definire il passaggio e, insieme con la Regione, individuare banchine e fasce di costa che rimangono demanio portuale. In questo ambito va fatta una radiografia puntuale dell’esistente e delle sue problematiche, prima fra le tante quella dell’infrastrutturazione primaria dell’area.
3) La fase che si apre da questo momento prevede:
a) una lettura e un confronto delle più significative trasformazioni di aree ex portuali che, pur tenendo conto di diversità normative ed amministrative, possano fornire elementi utili per la strumentazione:
b) la rapida costituzione di una vera e propria unità di progetto all’interno del Comune e ciò per garantire una centralità e un’efficienza all’altezza della sfida per l’amministrazione;
c) una cabina di regia permanente con gli altri soggetti interessati con la definizione anche della natura e degli obiettivi dello strumento specialistico controllato dal Pubblico per gestire le fasi attuative;
d) il coinvolgimento di un soggetto specializzato per la presentazione su scala internazionale, la promozione dell’opportunità, la valutazione di partners ed eventuali investitori;
e) il coinvolgimento attivo dei cittadini con momenti di presentazione e di ascolto di proposte; il coinvolgimento del Consiglio Comunale con un confronto continuo sulla proposta strategica e l’aggiornamento sullo sviluppo di tutte le fasi.
4) Vengo alla questione più importante: si lavora da subito per dar corpo al progetto con la consapevolezza che è innanzitutto un progetto politico, molto prima che urbanistico ed architettonico. Qui non stiamo parlando di un’area in cui, come qualcuno pensa, si fa qualche operazione immobiliare di piccolo cabotaggio o, come si è tentato nel recente passato, qualche spezzatino di piccole concessioni. Quest’area ha un valore strategico per Trieste, per il suo futuro, ma c’è l’ha nella misura in cui la dimensione della sfida è nazionale e si rivolge ad una platea internazionale. È insomma prima di tutto il paradigma di una visione strategica che mette Trieste in una prospettiva internazionale, ne alimenta la capacità di essere attrattiva e di essere nuovamente il punto di riferimento di un territorio e di relazioni su base nazionale ed europea. Nato come porto di un territorio europeo oggi Porto Vecchio può riproporsi come la Porta sul Mare di quel territorio.
Dal punto di vista istituzionale ciò significa il coinvolgimento del Governo nella costruzione di una grande opportunità di investimento, una fra le più significative presenti nel Paese.
Dal punto di vista delle alleanze territoriali che giustifichino la dimensione del progetto mettiamo in fila i diversi piani su cui intervenire e costruirle:
– l’ambito regionale e, ancor più nello specifico, quella vera e propria area metropolitana che da Ronchi e Monfalcone arriva a Muggia
– l’ambito del costituendo GECT che comprende oltre all’area sopraindicata, i comuni del Carso sloveno e dell’Istria slovena e croata
– l’Austria e la Baviera
– le aziende più significative operanti nell’area con l’obiettivo di una loro partecipazione
Prima di disegni architettonici si disegna la rotta di Trieste da qui al 2030. Quando dobbiamo misurarci con un provvedimento destinato ad allargare di sessanta ettari la dimensione della nostra città, prima e più ancora di un progetto urbanistico, è – come ho già detto poco fa – un grande progetto politico quello che abbiamo l’opportunità di lanciare: il progetto destinato a configurare la Trieste di domani, il progetto della Trieste che asseconda la sua vocazione naturale per espandersi ancora più sul fronte mare.
Sta a noi – e quando dico noi mi riferisco in primo luogo a questo consiglio comunale – delineare la rotta dello sviluppo della nostra città da qui ai prossimi 10 – 15 anni.
Starà sempre a noi vigilare e operare concretamente perché questa grande sfida non si limiti ad essere occasione di grandi speculazioni edilizie, o di operazioni di piccolo cabotaggio, di parcheggi facili a basso costo d’investimento e rendita assicurata.
Dobbiamo avere consapevolezza della portata di questa sfida, che chiama ciascuno di noi, forze politiche in primo luogo, ma anche categorie economiche, forze sociali, istituzioni culturali come l’Università, alla responsabilità di una scelta: quella di contribuire al progetto e condividerne il percorso. La partita è troppo importante perché si possa procedere in ordine sparso, sbandando o ripensandoci ad ogni oscillazione degli equilibri politici nazionali o locali. Verificheremo con Regione, Governo e l’Unione Europea la possibilità di risorse per alcuni interventi di infrastrutturazione fondamentale. Ribadisco poi la necessità, già indicata prima, di un territorio di riferimento, italiano ed europeo che attraverso questo progetto entra in relazione con la città, ne riconosce la funzione e vi partecipa con ciò determinando quella indispensabile crescita della massa critica di riferimento.
Dovremo studiare ed imparare dalle esperienze maturate in altre città dove parti importanti del territorio urbano sono state radicalmente trasformate; penso a Valencia, ad Amburgo, a Barcellona.
E dovremo mettere in campo tutte le nostre energie per cercare e stimolare gli investitori esterni, privati o pubblici che siano, a intervenire su questo progetto.
Qualcuno, in un passato neanche tanto lontano, ebbe a dire che la politica triestina è un pollaio. Dobbiamo dire che in non rare occasioni in cui ci si becchettava sulle piccole cose è stato così. Questa volta la partita è troppo grande perché si eludano scelte e responsabilità. Chi è disponibile a dare il proprio contributo serio, costruttivo, non da pollaio, sappia che per quanto mi riguarda le porte sono aperte.
La mozione che faceva propri questi contenuti è stata approvata a larghissima maggioranza dal Consiglio comunale con un voto favorevole che ha coinvolto anche una parte dell’opposizione, la restante parte ha deciso di non partecipare alla votazione.