Abbiamo incontrato Eric Medvet, ricercatore triestino da fine 2008 all’Università di Trieste presso il DI3, presto neo papà. Proprio mentre ragionava sulla propria situazione finanziaria futura, Eric si è scontrato con gli effetti di un provvedimento legislativo che lo riguarda in prima persona, assieme a tutti i ricercatori e non solo.
Di cosa si tratta?
Si tratta del decreto legge 78 del 2010: dice che scatti e “promozioni” per una certa categoria di pubblico impiego hanno valore solo giuridico per il triennio 2011-2013: in altre parole, a prescindere dalla progressione di carriera, fino a dicembre 2013 lo stipendio rimarrà quello di dicembre 2010. Nonostante l’apparente
semplicità del provvedimento, le conseguenze sui componenti di queste categorie, in particolare sul personale docente universitario, sono notevolmente variabili. Il massimo del danno lo subisce chi avrebbe dovuto avere una “grossa” progressione di carriera all’inizio di questo triennio. In termini relativi (cioè, valore della progressione rispetto al valore dello stipendio), l’impatto maggiore ricade sui nuovi ricercatori, che hanno appunto due grosse progressioni alla fine del primo ed alla fine del terzo anno di servizio. Quindi chi è ha
preso servizio nel 2008 o nel 2010 subisce un danno importante: nel mio caso (2008) si tratta di un 28% in meno all’anno, per due anni; per i più “giovani” (2010), addirittura meno 33%.
Con notevole ironia ci hai detto che il fatto che la legge sia stata fatta “frettolosamente” lo si nota dal fatto che il testo sia breve, conciso e chiarissimo a tutti…
Effettivamente, a differenza di molti altri casi, il meccanismo di taglio è chiaro e semplice: viene enunciato in poche righe. Quello che mi rammarica è che questa semplicità nasconde appunto un impatto sulle persone estremamente variabile e assolutamente slegato a qualsiasi criterio di meritocrazia, dipendendo invece dalla data di entrata in servizio. In pratica una legge le cui conseguenze ti si abbattono addosso come l’oroscopo. Mi chiedo se non si poteva ragionare un po’ più a fondo, scrivendo una norma con conseguenze più equilibrate ma uguale risparmio economico per lo Stato. Non pretendo, infatti, di non tirare anche la mia cinghia quando le cose vanno male, ma vorrei non strizzarla troppo più degli altri.
Come giudichi la condizione attuale dell’università?
Pur essendo ancora “giovane” nel mondo universitario, ho assistito negli anni ad una serie di “quasi riforme”, alcune in forma di raccomandazioni o leggi monche, che hanno reso ancora più difficile programmare l’attività didattica e di ricerca con orizzonti ragionevolmente lunghi. Programmazione che è già difficile per le difficili condizioni economiche.
Cosolini, durante l’incontro con i giovani al Naima, ha fatto notare quanto sia controproducente tagliare i fondi all’università, perchè è la conoscenza ciò che può rendere capaci le nuove generazioni di produrre ricchezza. Non a caso gli altri paesi investono di più sulla ricerca. È un pensiero che condividi?
Certamente. Purtroppo la sfortuna della ricerca è che può avere tempi di ritorno dell’investimento veramente lunghi. Solo una civiltà ed un’amministrazione lungimiranti possono convincersi ad investire sulla ricerca anche se i risultati si vedranno solo quando saranno ormai fuori gioco.
Cosa potrebbe fare secondo te il comune di Trieste per sostenere l’università?
Certo è difficile chiedere al Comune che intervenga direttamente sulla ricerca. Ma ci sono tutta una serie di iniziative di contorno che possono rendere più attrattiva la città come sede universitaria: non solo per gli studenti, ma anche per i ricercatori. Penso ai temi quali la mobilità, la ricettività e a tutti quei servizi (ad esempio, l’asilo aziendale per i dipendenti dell’università) che possono aumentare la qualità di vita dei cittadini rendendo quindi Trieste un bel posto dove trasferirsi; cose, tra l’altro, di cui godrebbe la cittadinanza intera.
Obbiettivo del comune deve essere dunque trasformare Trieste da “città con l’università” a “Città Universitaria”.